Big Data e Big Code: al Tecnopolo di Bologna arriva Software Heritage
L’ENEA porterà a Bologna una replica dell’archivio che conta oggi più di 6 miliardi di programmi sorgente. Una biblioteca digitale del mondo moderno per conservare saperi, ingegno e intelligenza.
Un archivio che raccoglie, conserva e rende accessibile il codice sorgente di gran parte del software disponibile al mondo, da quello che guidò il computer di bordo di Apollo 11 sulla luna, ai codici che hanno dato vita alla computer music. Si chiama Software Heritage e sarà presto in Emilia-Romagna, a Bologna, ospitato dal Centro ricerche ENEA all’interno del Big Data Technopole. E’ promosso da Inria – l’istituto francese per la ricerca sull’informatica e l’automazione – in cooperazione con l’Unesco. Tra gli sponsor dell’iniziativa vi sono aziende come Microsoft, Intel e Google.
Software Heritage, un’iniziativa internazionale, no-profit, portata avanti da due ricercatori e professori italiani residenti a Parigi, è un progetto di grande rilevanza culturale, sociale e scientifica: così come la Biblioteca di Alessandria nacque per preservare il sapere del mondo antico, questa biblioteca digitale conserverà un patrimonio che è espressione dell’ingegno, dell’intelligenza e della cultura del mondo moderno.
Navigando nel mare di codici dell’archivio, ci si può imbattere in quello che guidò il computer di bordo di Apollo11, che 50 anni fa portò l’uomo sulla Luna: un testo di sessantamila linee messo a punto da un gruppo di programmatori diretto da Margaret Hamilton, matematica appena trentatreenne, diventata poi direttrice della Software Engineering Division del MIT di Boston. Una giovane ricercatrice a capo di un team di specialisti, ma non c’è da meravigliarsi: agli inizi e per lungo tempo l’arte di scrivere codici è stata appannaggio delle donne, formidabili interpreti di quello che oggi è definito pensiero computazionale.
Un’altra caratteristica di molti codici è quella di essere il frutto di un autentico lavoro di squadra: da una parte gli “scienziati del computer” e dall’altra gli esperti cosiddetti “di dominio”, cioè dell’ambito del problema indagato. Come nel caso di TAUmus, uno dei primi software al mondo per la computer music, realizzato negli anni Settanta grazie alla collaborazione tra un musicista, il maestro Pietro Grossi, pioniere della musica elettronica, e i ricercatori del Centro Nazionale Universitario di Calcolo Elettronico di Pisa.
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